di Domenico Carbone.
Il proprietario, il progettista, il costruttore di opere come queste non si è lasciato condizionare, secondo noi, dalla posizione più o meno esposta alla visibilità. Palazzo d’Amati va oltre. E’una residenza di strada e appartiene a quella specie di architettura che concilia il gusto con la bellezza, che mostra conoscenza senza superbia, che accetta la sfida con il futuro e le sue mode temporali. Portale signorile, origami di pietra o di calco alle fessure, stemma non spocchioso, capitelli raffinati, scalinata d’accesso appena sbirciata che fa fantasticare oltre il consentito, piedistalli a sostegno dei balconi che diventano arredo, corredo , occasioni architettoniche. Se questo è il fotogramma del frontespizio su via Paolillo, in via S.M. del Rosario si svolge il secondo atto esteriore del palazzo con scalanature, modanature ed altri complementi d’arte edilizia all’altezza delle aspettative che l’intero fabbricato crea. Il palazzo è tuttora la dimora della famiglia d’Amati, a cui apparteneva l’ultimo ingegnere-capo del Comune, epigono di una tradizione , prima che tecnica ,culturale alla guida della relativa struttura comunale. Gli ingg. Caputi , Raitani e d’Amati, infatti, hanno governato e orientato l’edilizia e i lavori pubblici durante la nostra lunga “Belle epoque” all’insegna anche della bellezza. Poi, dalla fine degli anni ’60 , il tempo è cambiato , le tre “ E “ dell’efficacia, dell’efficienza , dell’economicità – complice la funzionalità – hanno seppellito, come si sa, la favola della “bellezza che salverà il mondo” , che Dostoevskij fa dire al principe Mishkin nell’ “I d i o t a