L’acqua a Cerignola

Anticamente, gli abitanti di Cerignola attingevano l’acqua, bene indispensabile per la sopravvivenza, da profondi pozzi scavati con grande maestria, tanto lavoro e denaro, nei pressi delle proprie abitazioni. A conferma di ciò, diversi atti notarili che parlano di vendite di immobili dotati di pozzi d’acqua e cisterne per la raccolta di acqua piovana.

Nel secolo XIX, Cerignola fu dotata di un grande pozzo, posto sulla strada che dal largo Addolorata porta alla contrada Padula, infatti la via di cui parliamo è denominata tutt’oggi, via Pozzomaggiore. In seguito ne furono scavati altri due di minore capienza.

Nel 1870 circa, l’Amministrazione Comunale fece scavare un’ampia fossa sull’attuale piazza Pasquale Bona, nei pressi del palazzo Ducale, comunemente detto “Castello”, in cui far convogliare l’acqua piovana, operazione agevolata dalla pendenza della zona in questione.

Successivamente, nel 1905, l’Amministrazione Comunale deliberò la costruzione di chioschi per la vendita pubblica di acqua potabile. Essa arrivava dall’Acquedotto romano del Serino costruito in età augustea, intorno al 10 d.C. per risolvere il problema dell’approviggionamento idrico della città di Napoli, su carri-cisterna alla stazione di Cerignola-Campagna. Veniva versata in una condotta di piccolo diametro, collocata quasi sulla superficie del terreno, collegata con l’inizio della Strada Larga. Infatti lì sorsero due chioschi in ferro e pietra, uno gestito dalla signora Maria Episcopo in Cappabianca e l’altro dal signor Domenico Tomasicchio. Altri sorgevano in piazza del Teatro e in via San Lorenzo, alle spalle dello stesso teatro gestito da tale signor Matteo Daloiso.

Nei chioschi, l’acqua veniva aspirata con una pompa azionata a mano e venduta per pochi centesimi. Per anni i cerignolani che potevano permetterselo, si disponevano in fila attorno al chiosco di forma pentagonale, poggiavano “i cicen” o bottiglie o damigiane di vetro sulla mensa di pietra per alleggerirsi del peso, in attesa del proprio turno. Nel 1923, con l’arrivo dell’acqua direttamente dalle sorgenti di Caposele, attraverso l’impiantistica dell’acquedotto pugliese, scomparvero i pozzi e furono demoliti i chioschi, uno di essi fu ricollocato nella villa comunale, adibito a bar fino alla metà degli anni Cinquanta.

Giuseppe Pavoncelli: dalla terra sgorga il sogno dell’acqua nella piana di Puglia

L’opera venne caldeggiata, alla fine del secolo XIX, da alcuni deputati pugliesi, tra cui Giuseppe Pavoncelli, che ottennero la costituzione di una commissione di studio cui seguì il finanziamento e nel 1902 l’affidamento dei lavori in concessione, a seguito di una gara internazionale.

Nel giugno 1902 fu costituito il Consorzio per l’Acquedotto Pugliese e Giuseppe Pavoncelli fu nominato Presidente. La sua costruzione fu avviata nel 1906, con l’intento di risolvere il millenario problema della penuria d’acqua nella regione: già Orazio descriveva la Puglia come terra assetata: siderum insedit vapor siticulosae Apuliae (arriva alle stelle l’afa della Puglia sitibonda). Difatti, non essendo il sottosuolo pugliese ricco di acqua facilmente estraibile, da sempre veniva adoperata l’acqua piovana raccolta in cisterne, che non garantivano quantità sufficienti e la necessaria prevenzione da epidemie. Nel dicembre 1907 Pavoncelli inviò al Ministro dei lavori pubblici, Bertolini, la prima relazione sullo stato d’arte dei lavori per la costruzione dell’acquedotto. Evidenziò che i lavori andavano svolgendosi con tempestività e presto si sarebbero aperti altri cantieri con altrettanti scavi. Assicurò, quindi, che in tempi brevi le acque erompenti dalle sorgenti di Caposele, avrebbero raggiunto i campi della sitibonda Puglia. Da Ministro dei lavori pubblici, negli anni 1897-1898, si preoccupò di prevedere nei bilanci statali ingenti fondi per la costruzione dell’acquedotto.

L’acquedotto Pugliese è costituito da un complesso di infrastrutture acquedottistiche tra loro interconnesse. La prima importante realizzazione, che tuttora rappresenta la spina dorsale dell’intero sistema acquedottistico pugliese, è il canale principale, alimentato, dalle acque del Sele e, a partire dal 1870, da quelle del Calore.

Proprio per la sua diacronica realizzazione, la paternità dell’opera non può attribuirsi a un Governo in particolare. Il canale principale, con le sue diramazioni fino a Bari, fu praticamente completato prima dell’inizio della prima guerra mondiale. I lavori di costruzione subirono, successivamente, una lunga pausa, fino alla fine della guerra, quando l’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese (EAAP) subentrò alla Società anonima Ercole Antico e soci, aggiudicataria dei lavori di costruzione.

La realizzazione dell’opera fu possibile grazie all’utilizzo di ingenti mezzi finanziari (125 milioni di lire dell’epoca) e materiali, per cui non mancò chi ebbe a pronosticare l’irrealizzabilità della stessa.

La galleria di valico dell’Appennino, da Caposele a Conza, fu ultimata nell’anno 1914 e intitolata a Giuseppe Pavoncelli. La sua lunghezza, al momento della costruzione era di 12.750 metri. Nello stesso anno 1914 furono già alimentati alcuni paesi della Puglia. A Bari la prima fontana fu inaugurata in Piazza Umberto I, il 24 aprile 1915, pochi giorni prima dello scoppio del primo conflitto mondiale. Solo dopo la fine della guerra, i lavori ripresero e l’acquedotto raggiunse le zone di Brindisi, Taranto, Lecce e, con la realizzazione della diramazione primaria per la Capitanata, anche Foggia. Nel 1911, nel primo anniversario della scomparsa di Giuseppe Pavoncelli, all’imbocco della galleria a lui intitolata, fu murata una lapide:

MCMXI

AD ONORE E RICORDO DEL SUO PRIMO PRESIDENTE

IL CONSORZIO DELL’ ACQUEDOTTO PUGLIESE

VOLLE CHE

ALLA GRANDE GALLERIA DELL’ APPENNINO FOSSE DATO IL NOME DI

GIUSEPPE PAVONCELLI

TENACE PROMOTORE DI QUEST’OPERA

DI CUI IL MONDO

NON RICORDA EGUALE

Il grande evento per Cerignola si sarebbe potuto verificare anche alcuni anni prima se i lavori non fossero stati sospesi per circa tre anni per la mancanza di fondi per lo scavo del terreno e messa in opera degli ultimi tre chilometri di tubazione, su via Melfi.

Per interessamento dell’on. Giuseppe Caradonna fu riaperto il cantiere e raggiunto l’inizio di via Assunta ove ci si trovò di fronte ad una galleria rivestita di tufo di Canosa, che, probabilmente, partiva dal palazzo Ducale. Per raggiungere la masseria Ciminarella, dove si erano interrotti i lavori, bastò così collegare fra loro le tubazioni e completare la condotta. Fu per questo motivo che alle estremità dell’arteria che poi sarebbe stata intitolata al genio livornese Pietro Mascagni, furono posti dei termini litici che servono, ancora oggi, a vietare il passaggio di mezzi pesanti, ed evitare eventuali sprofondamenti dovuti al peso.

Durante il fascismo, furono realizzati altri tronchi a servizio di zone non ancora raggiunte dall’acquedotto. L’opera terminale fu inaugurata poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale dallo stesso Benito Mussolini.

L’ Acquedotto pugliese, sin dagli inizi dell’erogazione dell’acqua, istituì a Cerignola un primo reparto di dipendenti con sede al palazzo Grillo, sull’attuale corso Moro, angolo via Plebiscito, diretto dall’ing. Palazzo. Successivamente si trasferì su viale di Levante (viale Borsellino) n.56, e infine, si diede una sede autonoma, dotata di tutti i conforts, in via Venezia, traversa di via dei Mille, inaugurata il 12 gennaio 1984 dal presidente dell’Ente Emilio Lagrotta e intitolata all’on. Aldo Moro fautore del potenziamento dell’Ente.

E finalmente arrivò…

il primo getto dell’acqua del Sele.

La cerimonia del primo getto d’acqua proveniente dalle sorgenti del Sele si svolse a Cerignola domenica 7 ottobre 1923. La popolazione cerignolana vide zampillare, per la prima volta, un’alta colonna argentea di acqua che raggiunse i 18 metri d’altezza, sotto lo sguardo materno della Sua Protettrice Maria SS. di Ripalta. Infatti, quel giorno fatidico, il Vescovo monsignor Giovanni Sodo, accompagnò in processione la Sacra Icona che valicò per la prima ed ultima volta i monumentali cancelli della Villa Umberto I, che la mano distruttrice dell’uomo, negli anni Ottanta, rimosse, senza scrupolo, insieme alla monumentale e storica fontana, che tante generazioni aveva visto e accompagnato nelle vicissitudini quotidiane di ogni cerignolano.

La madrina della cerimonia fu Teresina Mansi, la quale infranse la bottiglia di spumante delle rinomate Cantine Pavoncelli sulla scogliera circolare che delimitava la fontana e che assistette al potente getto d’acqua illuminata da luci colorate, che brillavano in quella sera autunnale.

Casa Pavoncelli era rappresentata ufficialmente dall’onorevole Giuseppe Augusto Pavoncelli, figlio del Ministro e padre di Gaetano Pavoncelli, a sua volta padre dell’ultimo degli eredi il Conte Stefano.

Assistettero alla cerimonia l’onorevole Giuseppe Caradonna e il comm. Gaetano Postiglione che non fecero mancare la loro valida ed autorevole collaborazione al completamento dei lavori della costruzione della rete dell’acquedotto pugliese, insieme all’infaticabile opera degli ingegneri Manfredonia, Della Corte ed Abassi.

In prima fila il Sindaco di Cerignola avvocato Domenico Farina con la signora Albina Siniscalchi che dedicò tutto se stesso non solo per veder zampillare nella sua città natale l’acqua ma anche per essere riuscito ad ottenere la posa in opera di diverse fontanine in più rioni della città.

Tra le autorità l’on. Eugenio Maury, il Prefetto di Foggia Lozzi, il sottoprefetto, il Presidente della Deputazione Provinciale Canelli, il Generale della Milizia Nazionale Fascista d’Alfonso, il console Eugenio Caradonna, il commissario di Pubblica Sicurezza cav. Rossi, il presidente del Circolo “Ofanto” cav. Leonardo Specchio, il presidente del Circolo Nazionale avv. Alfredo Caradonna, i giornalisti Mario Frejaville del “Mezzogiorno”, l’avv. Vito Resse della “Tribuna”, il cav. Matteo Strafile della “Gazzetta di Puglia”, il cav. Giovanni Rinaldi del “Giornale d’Italia”, il prof. Pierantonio del “Corriere Italia Uno”, il rag. Daniele Cellamare de “L’Impero”, il presidente della sezione combattenti di Cerignola ten. Spezzati, l’on. Araldo Di Crollalanza e tanti altri.

Nei discorsi fu ricordato l’on. Giuseppe Pavoncelli, primo Presidente del Consorzio per l’Acquedotto Pugliese. Il comm. Canelli, Presidente della Deputazione Provinciale di Foggia lesse il messaggio diretto al Sindaco della città. Seguì l’intervento dell’on. Giuseppe Caradonna il quale, con il suo stile vibrante e alato, sintetizzò l’iter della complessa opera realizzata, ringraziando soprattutto l’on. Antonio Salandra, instancabile sostenitore. L’on. Gaetano Postiglione ripercosse le attività del governo fascista tutto intento allo sviluppo economico del Mezzogiorno. Seguirono gli interventi dell’on. Eugenio Maury, del Prefetto Lozzi, del sindaco Domenico Farina e dell’on. Giuseppe Augusto Pavoncelli.

Al termine fu letto il telegramma del Duce:

La cerimonia che ti appresti a compiere è segno certo della precisa volontà del Governo Fascista di portare a compimento l’opera di ricostruzione nazionale e di provvedere con rapida attuazione ai bisogni dell’Italia; porta il mio saluto fascista ai convenuti.” Nella sala consiliare del palazzo municipale ebbe luogo un banchetto offerto dall’Amministrazione Comunale a cui furono invitati oltre ottanta commensali, in un’atmosfera di festa e una sala adorna di fiori e foglie d’edera.

Le fontane dislocate nei rioni cittadini

Dopo il 1923, l’Amministrazione Comunale e l’EAAP, Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, stipularono una convenzione per la posa in opera in città di ben ventisei fontane pubbliche. L’Ente si sarebbe accollata la spesa per la fornitura, la posa in opera e la manutenzione delle fontane e delle caditoie di scolo, mentre l’Amministrazione Comunale avrebbe sostenuto la spesa per la realizzazione della conca fatta di pietre laviche dove, al centro, sarebbe stata posta la fontana, oltre al consumo dell’acqua, monitorato da un apposito contatore. Le fontane portavano le date 1914 o 1915, anni in cui iniziò l’erogazione dell’acqua nella Regione e quindi facenti parte di una unica commissione fatta per l’intera Regione Puglia e recavano sulla parte anteriore il Fascio littorio. Le fontanine erano uguali per forma ma diverse per funzionamento. Simili ad una colonna circolare con coperchio a cupola sull’estremità superiore per permettere l’ispezione e la riparazione delle stesse. In basso una conca circolare per la raccolta dell’acqua. Dotate di un rubinetto a getto continuo o con chiusura a farfalla o anche di un pomello laterale girevole per dosare il getto dell’acqua, oppure un pulsante in ottone da spingere. Furono poste nelle seguenti strade:

1. via Salnitro, intersezione con via Cesare Abba – cappella di San Matteo;

2. via Palmisano – angolo via Tredici Italiani;

3. viale XXIV maggio, intersezione con via V Addolorata, sacrestia della chiesa Maria SS. Addolorata;

4. viale XXIV maggio, intersezione tra via Leonardo da Vinci e via Galileo Galilei;

5. piazza San Menaio – chiesa Maria SS. Ausiliatrice;

6. via dei Sanniti, intersezione con via Esterno Chiomenti e via de Martinis e Tonti – nei pressi della chiesa di San Gioacchino;

7. via Brancaleone – inizio di via San Leonardo;

8. via Vittorio Veneto – altezza di via Virgilio;

9. via Masaniello, davanti all’ingresso del Carcere mandamentale;

10. piazza Guglielmo Marconi, intersezione con via Eugenio Curiel;

11. via Sardegna, traversa di viale di Levante, nei pressi della vecchia chiesa di Cristo Re;

12. via Giovenale – di fronte al campo sportivo;

13. via Ortale San Domenico – angolo vico 3° Melfi;

14. largo San Rocco, detto “u largh d Specchie” – traversa di via Pavoncelli;

15. via Filangieri – angolo via Po;

16. via XXV aprile;

17. via Bari – angolo via Giardini Cappuccini;

18. via Piave;

19. piazza Firenze;

20. Largo Portella – Terra vecchia;

21. via don Minzoni, incrocio tra via Giovanni Bovio e via Maria SS. del Carmine;

22. via piazza vecchia, davanti all’ingresso laterale della Chiesa Madre;

23. Cerignola Campagna – davanti all’ingresso dell’edificio scolastico rurale “Adua”;

24. via Tredici Italiani, piazzetta attigua all’arco di “Carvutt”;

25. Largo Mulini d’Amati, nei pressi della chiesa Evangelica;

26. Villa comunale.

E nel 1926 fu costruita a Cerignola la prima fontana a getto multiplo, quella che comunemente è conosciuta come “dieci fontane”, riservata agli “acquaiuoli” di professione. Essi erano dotati di particolari chiavi per aprire le cannule e riempire “le mandegne” che poi venivano trasportate sui “traini” con cavalli per versarle nelle “rasole” di cui erano dotate le famiglie che pagavano 5 centesimi per ogni barile.

È doveroso precisare che non si conosce il motivo della denominazione “dieci fontane” dal momento che le cannule non sono mai state dieci. Infatti, da una foto in nostro possesso, rintracciata nei meandri di quel “mostro” che è internet, dall’amico Giovanni Montingelli, e che non possiamo pubblicare in quanto coperta da copyright, si evince che, originariamente, erano solo sei, e in seguito diventarono otto come riporta lo storico Luciano Antonellis nel suo libro “L’acqua tra risorsa e problema” del 2008. L’opera in cemento era sovrastata, al centro, dallo stemma della città, in pietra, poi rimosso.

Tra le fontane alle quali i cerignolani erano legati, ricordiamo quella di via Brancaleone, nei pressi di via Osteria Ducale, all’inizio di via San Leonardo, detto Corso vecchio, chiamata “la fundein du pesc” dove, secondo molti, scorreva l’acqua più fresca della città e dove i negozianti erano soliti attingere l’acqua, per le pulizie delle proprie botteghe, soprattutto macellerie e bancarelle per la vendita della frutta e del pesce.

Su via Benito Mussolini, poi via XXIII marzo, anno di fondazione dei Fasci di combattimento, attuale via Vittorio Veneto, all’inizio del marciapiede che fa da spartitraffico, fu installata una fontana a forma di Fascio littorio con una spesa di £. 300.000.

Ricordiamo ancora la fontana del rione San Gioacchino, detta “la fundein du largh di don Curred” perché su quella piazzetta abitava il canonico don Corrado Bavaro; negli anni Ottanta fece posto alla statua di San Gerardo Maiella che si venera nella vicina chiesa di San Gioacchino. La fontana su viale XXIV Maggio, all’incrocio con via Galileo Galilei, detta “la fundein d’ Taludd” dove si fermavano i viaggiatori provenienti dalla stazione di Cerignola – Campagna.

Ma tanti ricordi sono legati a quella della villa comunale, situata nei pressi dell’orinatoio e del cinema all’aperto. Era circolare, con al centro una palla di pietra, alla cui base scorreva l’acqua, e dotata di quattro zampilli. Bastava che uno di questi venisse tappato con un dito così da aumentare il getto degli altri zampilli, facendo bagnare il malcapitato. Erano i giochi innocenti di una volta.

E come non ricordare coloro che riempivano l’acqua con due secchi di latta poggiati all’estremità di un asse, ben equilibrati e issati sulle spalle e che trasportati nelle proprie case, sarebbero serviti per il bucato, la cucina e pulizia della casa.

Intorno, ad esse nascevano si, piccole scaramucce che a volte degeneravano, per la precedenza nell’attingere l’acqua, ma anche amori, quelli non mancavano mai. Infatti, i giovani fidanzati erano soliti darsi lì appuntamento con le proprie amate, che raggiungevano la fontana con la scusa di riempire i secchi d’acqua. Potremmo dire: quanti amori sono nati all’ombra delle fontane! Quindi la storia delle fontane è tradizione ma anche poesia ed amore.

Nel tempo, sia per contenere il consumo dell’acqua e anche perché, oramai, nessuna abitazione era sprovvista di acqua e fogna, le Amministrazioni Comunali disposero la rimozione della gran parte di esse.

Attualmente sono ancora esistenti ma non funzionanti le seguenti fontane: piazza San Menaio, viale XXIV maggio – angolo via Galileo Galilei, via Piazza Vecchia – davanti all’ingresso laterale della Chiesa Madre, via Ortale San Domenico – angolo vico 3° Melfi, via Salnitro – angolo via Cesare Abba.