di Domenico Carbone
In Capitanata Foggia, Cerignola e Manfredonia aderirono subito alla Repubblica Partenopea del 1799, mentre S. Severo, Lucera, Troia e Bovino tennero per i Borboni.
Episodi legati all’evento si svolsero qui da noi a Palazzo Coccia e a Palazzo Gala. Nel primo caso, i realisti occuparono il palazzo – da cui riuscirono a scappare Giandonato Coccia e solo Andrea dei fratelli Tortora, che erano fra i più accesi repubblicani – che fu deturpato all’interno, saccheggiato e svuotato di mobili e suppellettili buttati giù dai balconi.
Nell’elegante e signorile palazzo della famiglia Gala nella Terravecchia, invece, la lotta fu più dura perché in aiuto dei Gala, dei de Martinis e di Raffaele Pallotta, occorsero i guardiani delle campagne a loro fedeli che fecero da cuscinetto. G. Coccia e A. Tortora, riparati a Foggia, tornarono con rinforzi e si scontrarono con i borbonici nei pressi della chiesetta della Madonna delle Grazie. Intanto, avanzavano, entrambi con efferatezza, da sud l’armata sanfedista del card. Fabrizio Ruffo al grido di “trono e altare” e da nord i francesi del gen. Duhesme, che inviò una sua avanguardia a Cerignola ai primi di marzo. Giuseppe Tortora accolse nella piazza festante il gen. Broussier che per il poco tempo rimasto impose una non gravosa tassa, riferisce Lasorsa, per il mantenimento delle truppe.
Nel mentre sembrava favorevole ai francesi, lo scenario cambiò perché il grosso del loro esercito fu richiamato in Lombardia, dove si svolgeva lo scontro più decisivo con gli austriaci. Tanto determinò scoramento nella popolazione che con coraggio aveva innalzato “l’albero della libertà”, simbolo della rivoluzione, cosicché di lì a poco la stessa si affrettò ad abbatterlo, sentendo vicina la restaurazione borbonica.
All’inizio dell’estate del ’99 era tutto finito. Tutto ricominciò come prima, il popolo si adeguò subito, solo alcuni visionari se ne andarono, girando per il mondo in cerca della libertà.