Carissimi,
voglio iniziare anche quest’oggi dalla Parola di Dio, dal brano di Isaia che ci è stato donato nell’Ufficio delle Letture di oggi 8 gennaio, perché è pur sempre vero che “il primo gesto” della Chiesa in uscita è l’ascolto.
Isaia 62
[1] Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi darò pace,
finché non sorga come stella la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Sono le parole del profeta che sente che la sua esistenza è tutta per Gerusalemme: la sua voce, le sue energie, il suo tempo, che si spinge fino ad una meta che sembra impossibile, quella in cui risplenderà la giustizia in una città in cui ci sono stati disastri e versamento di sangue. È il desiderio di ogni pastore e di ogni uomo e donna che si sentono corresponsabili di quella nuova Gerusalemme che è la Chiesa.
[2] Allora i popoli vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
ti si chiamerà con un nome nuovo
che la bocca del Signore indicherà.
[3] Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
[4] Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma tu sarai chiamata Mio compiacimento
e la tua terra, Sposata,
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo.
Qui il profeta riconosce che anche Gerusalemme, la città devastata, i cui abitanti sono stati umiliati e deportati, quella in cui sono rimasti i più poveri a guardia delle vigne e degli oliveti, è una città amata da Dio, sposata da Lui, nonostante la sua pochezza. Questo brano ci insegna ad amare la Chiesa: lo insegna ad ogni battezzato, ad ogni pastore, che non è lo sposo della Chiesa, che rimane pur sempre Cristo, ma l’amico dello Sposo, che gioisce alla Sua voce e conduce la Sposa dal Suo Amato.
[5] Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposerà il tuo architetto;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
Davanti a questo mistero dell’amore nuziale della Chiesa, oggi l’amico dello Sposo che è il Vescovo vi annuncia che, nell’obbedienza e nella comunione di tutte le Chiese presiedute dal Vescovo di Roma, papa Francesco, è stato chiamato ad essere pastore della Chiesa che è in Catania. In questi giorni di festa, mentre vivevo ogni celebrazione e ogni incontro con voi, pensavo a questo momento, a come sarebbe stato segnato dalla sofferenza del distacco.
In questi anni ho cercato di voler bene a tutti e di essere il pastore di tutti, in quello stile che attinge al Concilio Vaticano II, al quale sono stato formato da un grande maestro, mons. Agostino Superbo, che ieri mi ha incoraggiato, chiamandomi dalla Casa di riposo dove, con il suo esempio e la sua preghiera, continua ad essere il maestro di tutti noi che ci siamo formati alla sua scuola. A questo stile sono stato iniziato da tanti maestri che a Molfetta, ad Andria, in questa cara Regione, sono stati docenti, padri e fratelli. Lo stile del Vaticano II: che crede, anzitutto, che la liturgia è fonte e culmine; che nella Parola Dio si rivolge a noi come ad amici; che la Chiesa è popolo di Dio; che il rapporto Chiesa-mondo è improntato a condivisione piuttosto che a fuga dalla realtà o commistione con i poteri; che l’ecumenismo è via in cui credere e da perseguire con amore e pazienza; che la formazione del clero deve tendere all’unità tra ministero e vita; che i laici hanno la dignità di chi edifica la Chiesa “crismando” le realtà temporali; che la dignità dell’uomo è gloria di Dio; che i poveri sono la nostra opzione preferenziale; che il compito di educare è nel Dna della Chiesa che è Madre; che la comunicazione sociale è una forma di evangelizzazione.
Ringrazio papa Francesco per la fiducia che ha avuto nell’affidarmi un carico così grande: mi fido del suo discernimento! Lo ringrazio anche perché ci spinge sempre a seguire la via stretta ma sicura del Vangelo, in scelte piccole e grandi.
Mi sento come Abramo, ho scritto nel primo saluto alla nuova Diocesi: “Non sono mai stato a Catania, e mi sento come Abramo che lascia la sua terra per andare verso un luogo totalmente inesplorato – tranne che per le tante letture degli scrittori siciliani che mi hanno affascinato fin dagli anni del liceo – nel quale il Signore lo precede e gli prepara il cammino con un popolo di fratelli e sorelle. Alcuni giorni fa commentavo alcuni testi della Genesi (12,7-9; 13,18) per la celebrazione del matrimonio di due cari amici che sono convolati a nozze in età matura, e notavo che Abramo dovunque andasse piantava una tenda e costruiva un altare. ‘Costruire una tenda’, cioè abitare con i fratelli, accolti sotto quegli spaziosi teli dei nomadi, che lì hanno tutta la loro vita ospitale; e ‘piantare altari’ a gloria di Dio, sapendo che ogni luogo che è sotto il cielo è sotto lo sguardo del Padre, proprio come mi insegnava mia mamma nella prima preghiera che mi ha insegnato: ‘Dov’è Dio? In cielo, in terra e in ogni luogo’. Tende e altari disseminano la vita di un credente, forse di ogni uomo, certamente di un presbitero e di un vescovo: le mie radici nel mio caro paese natale, Minervino Murge; gli anni di formazione e di ministero in Seminario e in tanti ambiti pastorali nella mia cara Andria; la ‘tenda’ del Seminario Regionale di Molfetta, che è vasta come la Puglia; i sei anni della Chiesa di Cerignola-Ascoli Satriano, impegnativi e stupendi; le Chiese sorelle di Puglia con i miei cari Confratelli Vescovi. Quanti volti, quante storie, quante situazioni che mi hanno visto più discepolo che maestro! In ciascuno di questi luoghi ho piantato la tenda, l’ho poi levata, ma è rimasto ‘l’altare’ della gratitudine al Signore e i legami della fraternità”.
Quando sono stato chiamato per andare a Catania ho detto subito di “Sì”, come ho sempre fatto e come bisogna sempre fare anche davanti all’ignoto e alle cose difficili: “Dove c’è obbedienza, c’è grazia”, dice l’Imitazione di Cristo; “nulla chiedere e nulla rifiutare”, afferma San Francesco di Sales, il santo del giorno del mio battesimo; e San Tommaso d’Aquino, nella Summa si chiede se è bene accettare un incarico così gravoso e lui, che era teologo e non pastore, si affida all’esperienza di sant’Agostino, citandolo: “Se la santa Madre Chiesa esige una vostra cooperazione, non dovete né accogliere la richiesta con avidità orgogliosa, né respingerla con pigrizia. Non anteponete la vostra tranquillità alle necessità della Chiesa” (Ad Eudossio, Epistola 48).
Mi sono chiesto se questa accettazione può provocare sofferenza e smarrimento, e mi sono detto che questo è possibile, ma non al punto tale da sentirsi indispensabili nella Chiesa di Cerignola-Ascoli Satriano. Ciò che è importante è continuare in un processo che non è iniziato con me, ma da quando la Chiesa esiste. Ogni tempo ha un suo specifico e questo è il tempo in cui sentiamo quanto sia necessario un rinnovamento ecclesiale, che è soprattutto spirituale, cioè animato dallo Spirito Santo, che è un compositore di sinfonie.
Ci sono due compiti che attendono questa Chiesa: il procedere del cammino sinodale, che è solo agli inizi, e il rinnovamento della Catechesi dell’Iniziazione cristiana. Voi che avete avuto il mandato specifico in questi ambiti continuate perché non ho cercato mai di attuare delle mie “fisse”, ma quelle della Chiesa. Il mio vescovo della giovinezza, mons. Raffaele Calabro, mi ha insegnato che i piani pastorali di una Chiesa diocesana, quando vanno in sintonia con quelli delle Chiese che sono in Italia, la liberano dai particolarismi, dalle chiusure, dall’angustia di vedute.
Avremo tempo per salutarci e in questi giorni vi farò sapere quando farò il mio ingresso a Catania e il mio saluto alla Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano. In questo tempo in cui rimarrò qui, come Amministratore, tutto procederà come sempre, con impegno e carità: i momenti di transizione sono i più delicati. Perciò vi raccomando corresponsabilità e rispetto tra di voi: rifuggite dal chiacchiericcio, dalla malignità dei giudizi, dallo stile che non si addice a coloro che si chiamano fratelli e sorelle. Pensate che è importante camminare come Chiesa, non avanzare come singoli: abbiate l’ambizione non di arrivare primi, ma lontano, in Paradiso. E non tutte le strade portano al Paradiso!
Avrò il tempo di ringraziare ciascuno di voi, soprattutto chi collaborando con me ha dovuto soffrire di più. Lunedì nominerò il Delegato ad omnia nella persona del Vicario generale, mons. Antonio Mottola, ma ognuno di voi si senta corresponsabile del cammino della vita ecclesiale e, soprattutto, della testimonianza che la Chiesa di Cerignola-Ascoli Satriano dà al mondo: ricordatevi che il mondo ha bisogno della nostra credibilità. Fin d’ora vi chiedo perdono per quello che può essere stato per voi motivo di sofferenza. Non serbo rancore nei confronti di nessuno, anche per i momenti difficili che ho vissuto io e la mia famiglia. I nostri legami rimangono e vi aspetto nella Diocesi etnea, tutti e quando volete. Se non vi telefonerò con curiosità sulle questioni della Diocesi, è perché ritengo che questo non sia lo stile di una persona matura. Prego fin d’ora per il futuro Pastore di questa Chiesa, perché sia un vescovo che incarni la carità pastorale che il Concilio Vaticano II ci ha indicato e che ha preso forma in vescovi santi come don Tonino Bello.
Vi voglio e vi vorrò sempre bene,
† Luigi Renna
Vescovo eletto di Catania
Amministratore Apostolico di Cerignola-Ascoli Satriano