Carissime e carissime,
entro con discrezione nelle vostre case, semplicemente per condividere il vostro dolore, perché non vi sentiate soli. Siamo in molti ‒ ci sono pure io ‒ che in questi mesi, tra i 102.000 morti per covid in Italia, annoverano i loro parenti. Una lunga “litania” di nomi che, per quanto riguarda la nostra Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, hanno invaso la mia scrivania, quando ho chiesto ai parroci di darmi l’elenco di persone defunte per il virus, dal marzo dello scorso anno ad oggi. Perdere una persona cara è sempre un dolore. Ci può restare, alla notizia della sua morte, la consolazione di poterlo vegliare, di poter mettere nella sua bara, oltre a quegli effetti personali che vogliamo “riposino” accanto a loro, anche i nostri sguardi carichi di nostalgia e di riconoscenza. Condivido con voi, in questo dolore, la frase di un prete lombardo vissuto nel secolo scorso, il quale parlando di una persona cara defunta ha usato questa bella immagine: “…moriva, come muoiono le mamme, senza disturbare, senza farsene accorgere, in punta di piedi come quando escono dalla camera di un loro figliuolo malato” (don Primo Mazzolari).
Mi piacciono queste parole perché racchiudono bene quelle che sono state le nostre comuni impressioni quando ci ha raggiunto la notizia improvvisa della loro morte: se ne sono andati in silenzio, in stanze di ospedale, circondati da tanta cura, ma non con noi accanto; sono “partiti” con la delicatezza di chi non vuole turbare e dare fastidio, proprio come tanti di loro sono vissuti. Sono morte persone anziane, fragili nella loro età: è la generazione che ha vissuto nella fanciullezza i traumi della guerra ma anche una giovinezza ed una maturità che hanno cambiato il volto della nostra società, assicurando un avvenire diverso e certamente migliore a figli e nipoti. Si sono “inventati” un mondo nuovo, diverso da quello della loro fanciullezza.
Sono morte persone più giovani, nel pieno della loro maturità, quando la loro esistenza stava portando quei frutti che può gustare, come nella bella stagione, una famiglia, l’intera società, la Chiesa: la responsabilità, la competenza, la maturità degli affetti, la realizzazione di sogni a lungo accarezzati. Per tutti un ricordo carico di gratitudine e di affetto: li sentiamo tutti come nostri congiunti perché siamo tutti fratelli. Allo stesso tempo pensiamo con gratitudine a medici, infermieri, personale sanitario e a parenti che, con tenacia, a volte con pochi mezzi, hanno curato, accompagnato, pianto questi nostri cari come se fossero loro congiunti.
E ci lasciamo tutti illuminare da tre verbi.
Anzitutto: condividere. Il Papa ha scritto: “Comprendo l’angoscia di chi ha perso una persona molto amata, un coniuge con cui ha condiviso tante cose. Gesù stesso si è commosso e ha pianto alla veglia funebre di un amico. E come non comprendere il lamento di chi ha perso un figlio? Infatti, ‘è come se si fermasse il tempo: si apre un abisso che ingoia il passato e anche il futuro. […] E a volte si arriva anche ad accusare Dio. Quanta gente – li capisco – si arrabbia con Dio’” (Amoris laetitia 255). Come Gesù ha pianto e condiviso il dolore di Marta e Maria per la morte dell’amico Lazzaro, così vi esorto tutti a non lasciare sole le persone che sono in lutto. La vicinanza può essere di grande aiuto nel lenire un dolore.
E poi, preghiamo: è il momento in cui levare lo sguardo per presentare al Signore i nostri cari, con il cuore pieno di gratitudine per quello che hanno fatto per noi, per riconciliarci per le ferite che forse hanno segnato le nostre relazioni. Ancora il Papa ci ricorda: “Un modo di comunicare con i nostri cari che sono morti è pregare per loro. Dice la Bibbia che ‘pregare per i defunti’ è cosa ‘santa e devota’ (2 Mac 12,44-45). Alcuni santi, prima di morire, consolavano i propri cari promettendo che sarebbero stati loro vicini per aiutarli. Santa Teresa di Lisieux sentiva di voler continuare a fare del bene dal Cielo” (Amoris laetitia 255).
Sentiamoci responsabili del momento presente e del futuro. Adun certo punto del lutto, occorre renderci conto che abbiamo ancora una missione da compiere.
Quale è la nostra missione, oggi? Evitare che il contagio si diffonda e salvare vite umane! I più giovani, se vogliono davvero bene alla vita dei nonni, la smettano una buona volta con la movida, che non può essere la preoccupazione maggiore mentre i nostri cari muoiono e tanti giovani sono morti a causa di essa: è ora di cambiare stili di vita! È il tempo di prendersi cura dei più fragili e di essere gli architetti di un mondo ed una società più vivibili. Ora, cari giovani, tocca a voi, remare verso il futuro dell’umanità e del pianeta!
Sarà il modo più bello per non dimenticare chi ha lasciato dietro di sé una scia di luce e di amore.
Ricordiamo i nostri defunti, condividiamo il dolore, preghiamo, riappropriamoci delle nostre responsabilità, per poter dire un giorno di aver imparato a navigare anche in questa tempesta.
Cerignola, dalla Sede Episcopale, 17 marzo 2021.
Vostro
† Luigi Renna