di Domenico Carbone
Abbiamo bisogno di fermarci prima di cominciare. Il palazzo di che trattasi , potendo scontare qualche imprecisione di carattere storico-patrimoniale, può dare fiato ad una leggenda che con i fatti reali e con la serietà dell’informazione non va d’accordo.
Per nostra fortuna, soccorre quello che diceva al riguardo Karl Popper : le verità sono sempre penultime. Aleggia , insomma, su Palazzo Logoluso la figura di una nobildonna dell’800, il cui profilo non è stato ancora approfondito, Marta Farina, burbera ma benefica, come succede alle persone concrete e non mielose.
Fu come fu il palazzo, fra la metà e la fine dell’800, passò a Pietro Logoluso con un vincolo morale , nè scritto né diversamente finora verificato. Si trattava dell’ospitalità che la religiosissima Marta avrebbe dato nei suoi locali ad associazioni o organizzazioni di carattere caritativo.
La famiglia Logoluso ha mantenuto l’impegno accogliendo la sede suffraganea della Diocesi di Ascoli Satriano – in regime di “aeque principaliter”- nell’ultimo periodo precedente la “plena unione” fra Cerignola & Ascoli S. del 1986, e, comunque , molto prima della costruzione dell’attuale Vescovado.
Nelle more del perfezionamento del suo “dossier” storico, il palazzo ha urgenza di presentarsi nella sua veste architettonica che il recente restauro ha riportato sapientemente al disegno originario.
Su piazza Duomo, il maestoso portale con cippi vigilanti apre ad un androne profondo che una magica e misteriosa scalinata divide(va) fra la portineria-abitazione del maestro di casa e il posto per carrozza/automobile. Colonne simulate con capitelli dorici cadenzano gli spazi fra i balconi con pregevoli inferriate, sui quali ghirlandine floreali e lineari trabeazioni formano un timpano elegante, raffinato.
Nell’attesa, dicevamo, di notizie più certe sul palazzo, va riferito un episodio vero, stavolta. Durante l’occupazione abusiva delle campagne da parte dei braccianti nel 1949 tutti i palazzi degli “agrari” furono sprangate per timore di assalti, così com’era successo due anni prima per Palazzo Coccia.
L’ultimo dei Logoluso ordinò perentoriamente al trepidante maggiordomo veneto di lasciare spalancato il portone. Nessuno entrò,quel gesto di fiducia non aveva esasperato gli animi. In quel palazzo ripresero le trattative sindacali soppresse da tempo.